et faciet Dominus


Oggi il profeta Isaia e l'evangelista Matteo ci vogliono a tavola.

Isaia è pervaso da sacro timore nell'annunciare chi è che imbandisce questa mensa: Dominus exercituum. Proprio il Signore degli eserciti, quello stesso che siamo abituati a vedere terribile e che fa strage dei nemici; proprio lui prepara il banchetto e lo prepara sul monte - quasi si sente la eco del commento al racconto del sacrificio di Isacco: sul monte il Signore provvede. Ma anche all'altro monte, il Sion, "mio santo monte", sullo stesso Sion dove all'Amen del Figlio unigenito il Padre risponde strappando il velo di separazione con l'effetto che al banchetto del Signore degli eserciti ora siedono storpi, zoppi, ciechi, infermi, lebbrosi, peccatori, pubblicani, e ogni sorta di umanità che reca in sé una piaga.
Dovevano restare lontani dal luogo santo per non contaminarlo e il Santo è venuto vicino a loro. Ma Gesù non vuole essere da solo a venire incontro a tutta questa umanità, vuole con sé anche i discepoli.

"Quot panes habetis?" e i discepoli che hanno capito, affettivamente ma forse non del tutto razionalmente, la domanda del Maestro rispondono: "Septem et paucos pisciculos". Aveva chiesto solo del pane ed essi nella semplicità del cuore hanno risposto con la totalità: Domine, in simplicitate cordis mei obtuli omnia.

Quando abbiamo consegnato a Gesù Maestro la nostra vita nella consacrazione dello stato di vita ci siamo proprio espressi così.

Cosa ci resta da fare? Discumberet super terram. Il Verbo eterno si è fatto carne, non ci ha spiritualizzati, ma animati del suo Spirito, per questo facciamo per terra la mensa. Sembra di ascoltare il papa Benedetto XVI all'assemblea della FAO: la terra ha cibo per tutti, ma il grasso debordante di qualcuno fa in modo che altri abbiano cibo solo in sogno.

Nuova mensa; nuovi commensali; nuovo cibo; nuovi servitori.

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